Plaza
27/10/2004, 23:17
Riporto un articolo di giornale dove la scrittrice Marta Brancatisano ha scritto:
Vorrei che il nuovo anno ci portasse a
"lavorare per vivere" piuttosto che a "vivere
per lavorare". I disagi e le tragedie della
disoccupazione sono noti, non altrettanto quelli
del troppo lavoro. Intendo quel tipo di lavoro che,
per cause diverse, ci porta a spendere tempo,
energia, intelligenza ed emozioni esclusivamente
per lui. Che ci fa tornare a casa esausti e incapaci
di "vedere" gli altri, desiderosi soltanto di dare
pace al proprio io con il sonno o con la tv. A causa
di un lavoro così organizzato - a volte affascinante
presagio di ricchezza e fama, altre volte soltanto
mezzo di sussistenza - le relazioni umane si
assottigliano per mancanza di tempo e di
intensità.
I giovani sposi non riescono a stare insieme,
stremati o addirittura separati (altra città, altro
Paese, altro continente) dal lavoro che è diventato
il nuovo radicale metodo anticoncezionale;
marito e moglie si vedono, sì e no, durante il week-
end; i figli vengono organizzati in modo da non
far pesare su mamma e papà la loro inesauribile
energia; i vecchi genitori si sistemano in qualche
apposita "struttura"; i parenti sono un genere
estinto e gli amici oggetti misteriosi.
Le relazioni umane significative, quelle che
chiedono e danno amore, sono "cose" che non
si "fanno" in fretta, tagliando i tempi e
accelerando i ritmi. Sono cose che hanno bisogno
della dimensione dell'attesa, della gratuità, della
confidenza. Di tempo quindi, e anche della
consapevolezza che sono ciò che dà senso alla
nostra vita e che pertanto vanno collocate al
primo posto nella scala dei nostri obiettivi. La
tendenza - spesss oinconsapevole - è invece quella
di lasciarsi trasportare, come da una ineluttabile
corrente, da una cultura del fare che ci sta
amputando l'essere.
Non bisogna avere il pallino della fantascienza
per intravedere, in una prospettiva vicina, una
mutazione genetica dell'essere unamo verso la
macchina. L'attività frenetica, imposta, sostanzia
le nostre giornate: per produrre e comunque per
fare, per muoversi, per ocupare un tempo di cui
ci sfugge il senso e che - da solo - ci fa paura.
Questo modo di vivere è nemico dei rapporti
umani: quelli che servono a star bene, a
essere felici, a gustare la vita e che, per
quanto non esenti dalle difficoltà, si distinguono
proprio per la gratuità e per il piacere. Per essere
dono e non solo utilità. La soluzione? E' semplice
ma difficile. Si tratta di rimettere il lavoro al suo
posto: attività espressiva della personalità umana,
mezzo di sostentamento, e modo di cooperare
con gli altri a costruire condizioni di vita migliori
per tutti. Ma la qualità della vita si misura dalla
capacità/possibilità di avere relazioni affettive
significative, ovvero dal fatto di amare ed essere
amati.
E allora bisognerà imparare a lottare per
difendere gli spazi e i tempi dell'amore. Non tutti
abbiamo la stoffa del rivoluzionario, ma tutti
possiamo arrivare a piccole azioni belliche, come
dichiarare con orgoglio che chiediamo l'uscita
anticipata per andare alla recita di nostro figlio o a
preparare la torta di compleanno per il marito. A
non vergognarci più delle esigenze della casa e
della famiglia, come se fossero affari irrilevanti,
solo perché privati.
Vorrei che il nuovo anno ci portasse a
"lavorare per vivere" piuttosto che a "vivere
per lavorare". I disagi e le tragedie della
disoccupazione sono noti, non altrettanto quelli
del troppo lavoro. Intendo quel tipo di lavoro che,
per cause diverse, ci porta a spendere tempo,
energia, intelligenza ed emozioni esclusivamente
per lui. Che ci fa tornare a casa esausti e incapaci
di "vedere" gli altri, desiderosi soltanto di dare
pace al proprio io con il sonno o con la tv. A causa
di un lavoro così organizzato - a volte affascinante
presagio di ricchezza e fama, altre volte soltanto
mezzo di sussistenza - le relazioni umane si
assottigliano per mancanza di tempo e di
intensità.
I giovani sposi non riescono a stare insieme,
stremati o addirittura separati (altra città, altro
Paese, altro continente) dal lavoro che è diventato
il nuovo radicale metodo anticoncezionale;
marito e moglie si vedono, sì e no, durante il week-
end; i figli vengono organizzati in modo da non
far pesare su mamma e papà la loro inesauribile
energia; i vecchi genitori si sistemano in qualche
apposita "struttura"; i parenti sono un genere
estinto e gli amici oggetti misteriosi.
Le relazioni umane significative, quelle che
chiedono e danno amore, sono "cose" che non
si "fanno" in fretta, tagliando i tempi e
accelerando i ritmi. Sono cose che hanno bisogno
della dimensione dell'attesa, della gratuità, della
confidenza. Di tempo quindi, e anche della
consapevolezza che sono ciò che dà senso alla
nostra vita e che pertanto vanno collocate al
primo posto nella scala dei nostri obiettivi. La
tendenza - spesss oinconsapevole - è invece quella
di lasciarsi trasportare, come da una ineluttabile
corrente, da una cultura del fare che ci sta
amputando l'essere.
Non bisogna avere il pallino della fantascienza
per intravedere, in una prospettiva vicina, una
mutazione genetica dell'essere unamo verso la
macchina. L'attività frenetica, imposta, sostanzia
le nostre giornate: per produrre e comunque per
fare, per muoversi, per ocupare un tempo di cui
ci sfugge il senso e che - da solo - ci fa paura.
Questo modo di vivere è nemico dei rapporti
umani: quelli che servono a star bene, a
essere felici, a gustare la vita e che, per
quanto non esenti dalle difficoltà, si distinguono
proprio per la gratuità e per il piacere. Per essere
dono e non solo utilità. La soluzione? E' semplice
ma difficile. Si tratta di rimettere il lavoro al suo
posto: attività espressiva della personalità umana,
mezzo di sostentamento, e modo di cooperare
con gli altri a costruire condizioni di vita migliori
per tutti. Ma la qualità della vita si misura dalla
capacità/possibilità di avere relazioni affettive
significative, ovvero dal fatto di amare ed essere
amati.
E allora bisognerà imparare a lottare per
difendere gli spazi e i tempi dell'amore. Non tutti
abbiamo la stoffa del rivoluzionario, ma tutti
possiamo arrivare a piccole azioni belliche, come
dichiarare con orgoglio che chiediamo l'uscita
anticipata per andare alla recita di nostro figlio o a
preparare la torta di compleanno per il marito. A
non vergognarci più delle esigenze della casa e
della famiglia, come se fossero affari irrilevanti,
solo perché privati.